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ovvero i libri che leggo, via via che li leggo, perchè, come e dove, più che recensioni, briciole, perchè un libro è sempre un'avventura e ciascuno di loro merita un pensiero e un ricordo.
Alberto Moravia - Gli indifferenti -
"E' inutile," si ripeteva toccando con le dita incerte i bordi della finestra, "è inutile ... questa non è la mia vita..".
Romanzo di grande fortuna, innovativo per la sua epoca; romanzo d'altri tempi, ma ancora capace di convincere perchè l'insalubre e sfatta atmosfera in cui si muove la sua gente ricca e vuota esiste ancora, forse da sempre, forse per sempre. Non lo avevo mai letto, così a un certo punto ho desiderato conoscerlo, non senza una certa diffidenza, e senza aspettarmi miracoli. E' un romanzo teatrale, non grandi spazi, nè inquietanti orizzonti, piuttosto stanze male illuminate, pesanti tendaggi che mal celano meschini segreti, porte socchiuse, e le strade di una città sotto la pioggia, intraviste oltre i vetri di un'auto che scivola nel buio. Così teatrale che mi viene il dubbio che l'aspirazione più genuina di Alberto Moravia fosse non tanto la narrativa, ma il dramma. La storia è costruita intorno a un solo personaggio, Michele, la sola personalità indagata con accurata dedizione dallo scrittore. Tutti gli altri sono comparse, quasi in forma di suppellettili, osservate e descritte con studiata malizia, e disprezzate, come fossero loro, quelle persone-cose che gravitano intorno a lui , i responsabili della colpevole indifferenza che paralizza l'anima di Michele. Una storia che non sono riuscita ad amare, perchè altre sono le storie che amo, quelle che fanno vibrare corde sconosciute, inventano sentimenti e autorizzano scoperte, o seducono quasi senza ragione. Una storia famosa, che (forse) val la pena di conoscere.
Jon Krakauer - Aria sottile -
"E poi mi ritrovai in cima a un gradino di ghiaccio, adorno di una bombola d'ossigeno vuota e da un ammaccato tripode di alluminio del servizio geodetico: non c'era più nulla da scalare."
Ho cominciato a leggere questo libro come si legge di un'avventura, come si
legge di viaggi che non potremo mai fare e quindi cerchiamo di immaginare sui
libri. La narrazione davvero mi ha portato sull'Himalaya, e su verso l'Everest,
e mi ha insegnato e
comunicato l'atmosfera della spedizione e della scoperta; ma poi,
inesorabilmente, mi
ha
travolto nel vortice della tragedia, lasciandomi dolorante e esterefatta.
Perchè questa non è la tragedia di Scott o di Mallory che hanno perso la vita
nel tentativo di realizzare un'impresa mai compiuta prima, non è la tragedia
del pioniere che va incontro all'ignoto, è la tragedia di uomini che si sono
persi perchè già da prima avevano perduto la misura delle loro forze e dei loro
limiti.
Su questa vicenda sono state spese
pagine e pagine di inchiostro e di polemiche, e certo anch'io me ne sono fatta
un'opinione, e ho formulato la mia del tutto personale (e necessariamente
arbitraria)
valutazione delle responsabilità. Chiunque ha raccontato questa vicenda,
Krakauer prima, e poi Bourkreev, e persino lo sherpa Tenzing, era certamente
consapevole che raccontare una storia la espone al giudizio del lettore. Ma se
schierarsi è quasi inevitabile, ciò che rimane veramente del libro è un
profondissimo sgomento, e una reverente ammirazione per un'immensa, altera e
inviolabile montagna.
Helen Fielding - Il diario di Bridget Jones -
... perchè tutte le donne, prima o dopo, sono state single ...
Ho trovato questo libro delizioso e
spassionatamente lo consiglio a tutte le donne (l'altra metà del cielo deciderà
da sola, avvalendosi dello spiccato senso critico di cui la natura li ha
ampiamente forniti) che abbiano superato la
maggiore età da
non più di qualche decennio, e lo consiglio soprattutto alle amanti di Jane
Austen, di cui
"Il diario" è farcito di citazioni più o meno evidenti. La più
ovvia, quasi pacchiana, è l'aver copiato il nome del protagonista,
l'ineffabile Mr. Darcy
di "Pride and Prejudice". L'industria cinematografica se ne è subito
impossessata affidando la parte al Colin Firth che già aveva interpretato il
Darcy ottocentesco in una miniserie TV del '95 (opportunamente citata nel
diario). Ma il gioco delle 'citazioni' (o se preferite, delle parodie) non
finisce certo qui. Una single non più giovanissima, ma ricca di spirito e
intraprendenza, ben rappresenta la brillante ed intelligente, ma ahimè quasi
povera, giovinetta
ottocentesca, perfettamente conscia della sua difficile posizione di
secondogenita in una nidiata di cinque femmine, tutte in cerca e impellente
necessità di un buon matrimonio. Ancora, in
entrambe le storie, l'approccio fra i due protagonisti è tutt'altro che
idilliaco e le incomprensioni che ne derivano sono fertili di gustosa ironia.
Ma gli equivoci si dissolvono come nebbia al sole quando Darcy si riscatta dal
precedente comportamento alquanto villano con un'azione nobilmente
disinteressata nei confronti della famiglia di Elizabeth/Bridget, utilizzando
elegantemente in
entrambe i casi della sua elevata posizione socio-professionale . E mentre
le analogie potrebbero continuare all'infinito, forse oltre le stesse
intenzioni dell'autrice, bisogna pur dire che "Il Diario di Bridget Jones" non
è affatto una copia, nè brutta nè bella di P&P, è un po' fumetto, un po'
satira, una parentesi esilarante e totalmente disimpegnata nel grigiore della
narrativa moderna.
E se a qualcun altro capitasse, come è capitato a me, di non averne abbastanza,
si può addirittura continuare con "The edge of reason", in italiano "Che
pasticcio, Bridget Jones" (solita infelice traduzione del titolo), seguito
egregiamente all'altezza dell'esordio.
Thomas Mann - I Buddenbrook - decadenza di una famiglia
Diceva Italo Calvino che un classico è un libro che non ha mai finito di dire
quello che ha da dire dire.
Provo a far parlare questo libro attraverso le sue donne (giocando a
dimenticarmi dei Johann che hanno fatto grande la famiglia, ma anche di Thomas
e Cristian e del giovane e sfortunato Hanno). Le donne sono tre e, come sempre
nella vita vera, sono quelle che rimangono. Gli uomini partono, muoiono,
scompaiono ... otto donne recitano la scena finale del libro, quando ormai
tutto si è compiuto e il tempo rimasto serve solo agli addii. Ma tre, dicevo,
sono le protagoniste: Elisabeth, Antonie e Gerda ( e Gerda è la mia
preferita, anche se io non le sarei stata simpatica). Elisabeth, la signora
madre, è il vero pilastro della famiglia. Dopo aver portato in dote al marito
console la prestigiosa parentela con il borgomastro, a lei il
destino riserva una sorte più limpida che alle altre due, una vita all'apice e
quattro figli, di cui soltanto di Clara è costretta a
testimoniare la morte. Finchè Elisabeth è in vita
non esiste per i fortunati eredi nè decadenza nè incertezza. Il declino dei
Buddenbrook comincia con la sua fatale polmonite, anche se già da tempo Thomas,
pur al vertice del successo, della decadenza aveva avuto sentore. Antonie,
figlia di Elisabeth, è l'unica che l'autore (uomo) si permetta di
schernire un po', con quella sua testa spinta all'indietro e quel suo mento sul
petto,
in una perenne posizione di rigidezza innaturale. Antonia è una vittima
indomita e sincera, ma libera, perchè non
deve soggiacere mai alla condanna del silenzio. " Niente di inespresso la
consumava, nessuna esperienza taciuta la gravava" e "di fronte a nessuna
lusinga e a
nessun affronto della vita aveva mai taciuto." Impotente tuttavia a forgiare il
proprio destino, ci pare, con la sua petulante vitalità, come un fuscello
trasportato dalla rapida, ingannata dall'ingenua speranza che la vita debba
prima o poi riservarle il dovuto rispetto. Infine Gerda, impenetrabile musa,
enigmatica fino all'ultimo,
compresa forse solo dal suo violino. Ella è delle tre la più sola, ma non è
lecito per questo pensarla come la più infelice. Ella, come ha da dire Antonie
nella già
ricordata ultima scena, "ha perso tutto", ma se l'ha perso è perchè molto ha
avuto, e ancora ha, perchè l'arte è l'unica immortalità che l'uomo conosca e
perchè la ricchezza della vita non è nella meta, ma nel viaggio.
Martin Buber - Il cammino dell'uomo
"Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero."
Poco posto è rimasto nella nostra esistenza di animali tecnologici per la filosofia e la spiritualità. E allora bisogna davvero che mi conceda il lusso di leggere qualche pillola di saggezza, qualcosa che mi rammenti di come funziona il pensiero, quello libero da condizionamenti e dal ricatto del bisogno quotidiano, ma anche da dogmi e teologie imposte e insindacabili. Leggere e rileggere, penetrare questa visione senza sentirsi giudicata o inquisita, senza giudicare e inquisire, soltanto per ragionare, riflettere e sentire.
Alvise Zorzi - Vita di Marco Polo, veneziano
"Altri che vivranno esperienze paragonabili alle sue non avranno nè il suo occhio, nè la sua memoria, nè la sua comunicativa. Altri, più brillanti e più precisi, non avranno la sua personalità. Come la sua città natale, Marco rimarrà, nella storia, sempre un diverso."
Marco Polo è una figura quasi leggendaria, che la fantasia ha arricchito di
aneddoti e colori spesso improbabili. C'è chi ha detto che Marco Polo non è
esistito proprio mai, e chi che Marco Polo si era inventato tutto e non si era
mai mosso poi molto dalla sua Venezia. Alcune delle sue storie sembrano vaghe e
imprecise, certo arricchite dalla fantasia e impoverite dalla memoria. Ma
leggendo il libro di Zorzi, veneziano doc e noto studioso di storia veneziana,
quella formidabile lontananza di sette secoli diventa meno insondabile e tutta
la storia dell'epoca, fra intrighi di corte e gli interessi mercantili che
anche allora la muovevano, molto facile da capire. Il miracolo di Marco non è
il viaggio, che pure fu epico e spavaldo, ma il racconto. Quello che è
veramente importante non è ciò che si fa, ma quello di cui si riesce a lasciare il segno.
Elsa Morante - Menzogna e sortilegio
"Io non cerco il perdono e non spero nell'altrui simpatia. Ciò che voglio, è soltanto la mia propria sincerità"
Come sia germogliato questo libro, un isolato urlo nel nulla in un momento
storico in cui la letteratura cercava di rappresentare più alte e nobili
tensioni sociali, è sorpendente e straordinario. Nonostante la grande distanza di stile, non è difficile
capire come Elsa Morante amasse e si sentisse vicina a Kafka. Infatti anche
questo romanzo, come quelli dello scrittore ceco, emerge come una visione
onirica, una specie di incubo che dura una vita. La protagonista ha scelto di
non vivere, ma sacrificarsi a un ricordo, che è sogno, illusione, menzogna e sortilegio. La narratrice, sua figlia, non ha potuto imparare a vivere nel presente, ma è costretta a dimorare in un altro tempo, che è il passato di altri. Tutto ciò sembra complicato, ma è di una disarmante umanità.
Leggendo questo romanzo ho
finalmente capito da dove viene tanta narrativa italiana moderna al
'femminile', buona e meno buona, ma tutta figlia della stessa visione, o allucinazione, di Elsa
Morante.
Ernest Hemingway - Isole nella corrente -
L'oceano e i grossi pesci, le armi, la guerra, i gatti, l'alcool,
la solitudine, i viaggi, l'amore, la morte e ancora l'oceano. In questo romanzo
postumo c'è tutto Hemingway, il suo realismo lento e trasfigurato, il menù del
giorno e la ricetta di un cocktail, quel suo parlare di banalità che banalità
non sono mai. Le donne, anche, ma sempre bellissime, in certi libri le donne
"normali" non esistono. Lo scrittore, che era poi tutt'uno con l'uomo, e quella
vita sempre vissuta un po' sopra le righe, perchè mai si potesse dire che quello
che scriveva non lo conoscesse di prima mano. Questo romanzo è anche un po'
la descrizione dei suoi sogni, fantasie o incubi, ad occhi aperti; tre figli
da due mogli, proprio come Ernest (che per fortuna nella realtà non morirono,
tragicamente, come nel romanzo), una nave attrezzata per inseguire i sommergibili
tedeschi (ma nessun impresa come quella descritta fu in realtà mai portata a
termine)
Un po' holliwoodiano, a tratti, con l'apparizione della bellissima ex-moglie,
diventata una grande attrice, il cui personaggio è ispirato, si dice, niente
di meno che a Marlene Dietrich.
Questo romanzo però non è stato corretto, impaginato, rivisto e riconosciuto
dal suo autore. Anche il titolo è ricostruito, da 'L'isola e la corrente', titolo
provvisorio della sola prima parte. E allora si è detto che "questo libro dobbiamo
leggerlo con l'occhio indulgente di chi ha scassinato il cassetto di un amico
per leggere la sua posta".
per scrivermi, per piacere
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© 2000-2005
Carla Marchetti