ovvero i libri che leggo, via via che li leggo, perchè, come e dove, più che recensioni, briciole, perchè un libro è sempre un'avventura e ciascuno di loro merita un pensiero e un ricordo.
Joan Lindsay - Picnic a Hanging Rock
"Se Picnic a Hanging Rock sia realtà o fantasia, i lettori dovranno deciderlo per conto proprio. Poichè quel fatidico picnic ebbe luogo il giorno di San Valentino del 1900 e tutti i personaggi che compaiono nel libro sono morti da tempo, la cosa non pare abbia alcuna importanza."
Ma che cosa era successo veramente a Hanging Rock? In molti se lo sono chiesto e hanno cercato e ricercato gli indizi lasciati nelle pagine della scrittrice che potrebbero svelare il mistero. Che forse mistero non è, ma soltanto un naturalissimo e tragico incidente. Scritto nel 1967 e reso celebre dal film del 1975 diretto da Peter Weir (che poi diventerà ancora più celebre per opere successive come "L' Attimo fuggente" e "The Truman Show"), questa storia anticipa un poco il gusto degli anni '90 per il mistero irrisolto e irrisolvibile, cioè il superamento del giallo razionalista, in cui è proprio la soluzione del mistero lo scopo dell'opera. Qui invece è assolutamente inutile cercare una soluzione ovvia e razionale, perché neppure Irma, la splendida sopravvissuta nulla ha visto, o non ricorda o non vuol ricordare. Ugualmente è inutile arrovellarsi nell'inventare una fine della storia, che metta finalmente a tacere dubbi e pettegolezzi. Tutto è finito, tutto è perduto. Neppure il collegio, con tutte le meschine ingiustizie e le piccole illegalità dei collegi di rango, esiste più.
C'è il fascino arcano dell'Australia filtrato attraverso l'ambientazione inglese. Quasi le ragazze, e le professoresse potessero dimenticare di essere dall'altra parte del mondo, così disperatamente lontano dalla madre Inghilterra.
Jan McEwan - The Comfort of strangers
"no amount of civilisation can overcome the fundamental hostility between men and women"
Uno degli autori più amati degli ultimi decenni, Jan McEwan ha scritto un 'noir' alla Patricia Highsmith, ambientato in una Venezia allucinata e assente, quasi perennemente deserta, fatta di notti che non finiscono mai e di giorni inesistenti. Un libro di incomunicabilità e cattiveria, introspettivo e spudorato, gelido e punitivo. Alla fine, un libro che non ho amato, ma che si può apprezzare se si legge come un triller, perchè l'autore è certo in grado di far attraversare la schiena dal brivido.
Non ho visto il film, dove il 'bel' Collin è interpretato da Rupert Everett, mentre interessante mi appare Christopher Walker nei panni del sadico Robert.
Jan McEwan - Sabato -
"Lui, Henry Perowne, possiede così tanto - lavoro, soldi, prestigio, casa e, soprattutto, la famiglia (...) eppure non ha mosso un dito, non ha concesso nulla a Baxter che ha così poco (...), e al quale presto resterà ancora meno."
Non v'è dubbio che McEwan sia autore di talento, anche se non uno dei miei preferiti, un solido professionista, leggermente verboso, ma a tratti affascinante. In questo libro imbastisce una storia carica di aspettative la cui problematica principale, l’amaro contrasto fra vincenti e perdenti, nessuno dei due veramente responsabile del suo destino, non è poi molto dissimile da quello affrontato da E.M. Forster nel classico ‘Casa Howard’ (Howards end). Ma la risoluzione è qui assai meno convincente, e il dissidio ignorato. La storia rimane centrata sul protagonista, Henry Perowne, medico coraggioso e brillante, in bilico fra l'incrollabile sicurezza del suo mestiere e una fragilità emotiva sempre in agguato. Delude il finale, direi da telefilm (ER fa scuola). Ho trovato invece avvincenti i resoconti delle operazioni chirurgiche e assai notevoli le pagine che descrivono la visita alla madre e lo sgombero della casa di lei. E’ Lily, la madre di Henry, il personaggio più credibile di tutto il libro, un'anima che palpita di realtà in mezzo ad altre presenze piuttosto gelide e sfuggenti. Sarà un caso, ma anche in ‘Bambini nel tempo’ le pagine veramente indimenticabili sono quelle in cui il protagonista ‘vede’ i genitori da giovani (scena, fra l’altro, autocitata in ‘Sabato’ ). Un avvertimento: la quarta di copertina preannuncia “… ventiquattro ore a perdifiato per salvare quanto ha di più caro”, ma non c’è assolutamente niente del genere nel libro.
Charlotte Bronte - Jane Eyre -
"Feeling without judgement is washy draught indeed; but judgement untempered by feeling is too bitter and husky a morsel for human deglutition" (Il sentimento senza giudizio è una sorsata annacquata davvero, ma il giudizio non temperato dal sentimento è un boccone troppo amaro e rasposo da deglutire)
Grande capolavoro della letteratura ottocentesce inglese (di cui, non so se ho già detto, sono una furibonda appassionata), questo romanzo doveva certo stare fra i miei libri del cuore, tanto l' ho amato da ragazza e continuo ad amarlo tuttora, per il suo coraggioso romanticismo, la modernità dei personaggi e la passionalità della storia. Romanzo d'amore e mistero, romanzo di formazione, forse in contrasto con la critica, io penso che sia un libro decisamente "femminista" non fosse altro perchè è una delle pochissime opere della letteratura in cui la protagonista femminile viene ripetutamente descritta come 'tutt'altro che bella'. Ovvero è uno dei pochissimi libri che fanno esplicito riferimento alla prevalenza di altre doti rispetto alla bellezza nella costruzione del fascino femminile.
In lingua originale, nuovamente il libro non mi ha deluso. La lingua è scorrevole e amabile, come nella frase che riporto qui sopra o in quest'altro stupendo brano, dove Rochester svela i suoi sentimenti per Jane:
"I sometimes have a queer feeling with regard to you -- especially when you are near me, as now: it is as if I had a string somewhere under my left ribs, tightly and inextricably knotted to a similar string situated in the corresponding quarter of your little frame. And if that boisterous Channel, and two hundred miles or so of land come broad between us, I am afraid that cord of communion will be snapt; and then I've a nervous notion I should take to bleeding inwardly. As for you, -- you'd forget me."
Talvolta provo un sentimento singolare nei tuoi confronti --- soprattutto quando tu sei vicino a me come adesso: come se avessi una corda da qualche parte sotto le mie costole a sinistra, legata stretta e inestricabilemente a una simile corda situata nel quadrante corrispondente della tua piccola figura. Se quel turbolento braccio di mare, o duecento miglia di terra si interporranno fra di noi, ho paura che questa corda di unione si spezzerà; e ho la nozione nervosa che io comincerei a sanguinare dentro. Mentre tu, tu mi dimenticheresti.
Dopo aver visto il film di Zeffirelli, dove un pur degnissimo William Hurt pare più che altro una specie di nonno per la piccola Charlotte Gainsbourg, e manca del tutto della dolorosa passionalità di Rochester, sono rimasta profondamente delusa e ho cominciato a fantasticare di una 'mia' versione cinematografica del libro - una versione moderna con una piccola extracomunitaria nei panni di Jane e forse un tipo Liam Neeson come Rochester, seducente e impacciato, come quando domanda "Dimmi, Jane, tu pensi che io sia un bell'uomo?" e lei risponde con grande naturalezza "No, signore".
Arundhati Roy - Il Dio delle piccole cose -
"Sapevano che non c'era posto dove potessero andare. Non avevano niente. Nessun futuro. Perciò si aggrappavano alle piccole cose".
Arundhati ha detto in un'intervista: "It isn't a book about India... It is a book about human nature." Non è un libro sull'India, è un libro sulla natura umana.
Infatti il romanzo è assai poco indiano per la visione stereotipata, o iperealistica dell'India che nostro malgrado noi occidentali ci portiamo addosso, romanzo di vita vera, nuda e cruda, in cui la realtà dell'India (per quanto ne possa sapere chi ci è stato quattro giorni in tutto come me... ) trapela solo in certe amare usanze di quotidiana ingiustizia e brutalità. Infatti l'India non è affatto necessaria per costruire la storia, perchè uomini che vivono in condizioni di inferiorità, e donne discriminate a causa della loro ricerca di identità e di libertà, e bambini abusati fisicamente e moralmente, e persone incrudelite dall'invidia e dalla solitudine, tutto questo si trova dappertutto nel mondo.
Ho amato questo libro per anni, e ancora lo amo quando lo ricordo, per la sua scrittura non convenzionale e coraggiosa. Non è di facilissima lettura, tutta la storia è vista e narrata dalla parte di due bambini e soprattutto e il flusso temporale non è lineare. Però si arriva alle ultime pagine con un'aspettativa grandissima, che non rimane delusa. Un' "amante di lady Chatterley" indiana, intensa come quella di Lawrence, solo molto più disperata.
Mo Yan - Sorgo rosso
(Hong GaoLiang Jiazu)
Sono stata due volte in Cina, con grande entusiasmo e grande curiosità, come ho descritto in altra parte del sito. Non voglio dire di essere rimasta delusa, mi sembra che parlare "male" della Cina stia diventando una specie di luogo comune. Continuo a pensare che la Cina sia quanto di più simile a un altro pianeta si possa trovare sulla terra. La nostra e la loro civiltà sono state divise per millenni, con occasioni di incontro assai limitate e persino le più semplici consuetudini, quelle volte a soddisfare i bisogni fisiologici in genere, lasciano trapelare quanto differente sia stata la nostra storia. Con i cinesi sempre, complice certo la lingua che non aiuta, nonostante la mia buona volontà a cercare di capirne almeno il funzionamento, ho sempre avuto l'impressione che qualcosa sfuggisse, qualcosa di imperscrutabile.
Di tutti i libri sulla Cina, o comunque cinesi, che ho letto (e non sono pochi), questo quello che mi è parso il più autenticamente 'cinese'. Lo consiglio libro a chi vuole cerecare di capire qualcosa della Cina, quella vera e fuori dagli stereotipi, quella prima e oltre le cineserie, il cibo e le merci scadenti, lo sfruttamento, la persecuzione dei tibetani e la sovrappopolazione.
In questo libro la violenza più efferata viene descritta con la stessa leggerezza con cui viene descritta la natura, colori e forme che sembrano uscire dal pennello di un pittore. Ho comprato molti opuscoli artistici in Cina, per pochi spiccioli su una bancarella, e ammiro la grazia del loro tratto e dei loro colori. Della stessa stoffa sono le parole di Mo Yan (letteralmente colui che non vuole parlare) quando descrive la campagna, con una delicatezza e un'accuratezza quasi impalpabili. Però la violenza non è leggera, anzi è di piombo. La storia della Cina del '900 attraversa la vicenda di questo libro come una ferita, mentre i protagonisti, spavaldi e indomabili, non riescono a opporsi a un destino che li strappa sempre più lontano dalle loro radici e che nega loro una qualsiasi forma di futuro. Un destino che distrugge tutto, anche i meravigliosi campi dell'antico sorgo rosso.
Roberto Saviano - Gomorra -
"La criminalità non è il potere, ma uno dei poteri"
Questo libro è stato osannato dalla critica e dai
lettori, e continua ad essere in testa alle classifiche dei libri più
venduti in Italia. Il suo autore è ormai un personaggio di rinomanza
internazionale. Fuori dai clamori della cronaca ho letto però recensioni
discordanti. Ciò che non condivido assolutamente di quanto viene detto
dagli estimatori del libro è che abbia la forma di un romanzo. Per
intenderci, un libro come ‘Mezzanotte e cinque a Bhopal’ di Lapierre è
veramente una cronaca in forma di romanzo, presenta dei personaggi e le
loro vite e crea una suspence sugli avvenimenti. Non c'è niente del genere
in Gomorra, che è sostanzialmente una lunga inchiesta giornalistica sulla
camorra, una ricchissima raccolta di dati e testimonianze, anche di
primissima mano. Ma giornalistico resta, e le informazioni che tale
inchiesta ci fornisce non sono dissimili da quelle che riceviamo e abbiamo
ricevuto quasi ogni giorno dai normali mezzi di comunicazione, da
giornalisti capaci e competenti, riguardo a delitti e efferatezze della
camorra. Certamente il merito di Saviano è di averle organizzate in una
forma e in una struttura organiche e incontrovertibili. La provincia
napoletana, anzi praticamente tutta la splendida Campania, viene descritta
come uno dei posti più corrotti, avvelenati e violenti del mondo, senza
eccezioni e senza speranza. Negli ultimi tempi ci siamo purtroppo abituati
ad accettare che sia vero. Si fa un punto nel voler mostrare che la
camorra è peggio della mafia, anche se non sembra, perchè la mafia
combatte lo stato, mentre le lotte di camorra sono quasi solo intestine.
La camorra non combatte lo stato perchè preferisce utilizzarlo, quindi lo
stato è camorra. Disturba tuttavia una tale insistenza, che sembra quasi
tesa a stabilire un primato.
Lo stile è talvolta difficile da seguire. C'è un'ovvia difficoltà
nell'organizzare una mole di dati così complicata, con incursioni in
episodi di vita personale, non si sa quanto autentici, ma certo
strumentali alla collocazione del libro nei 'romanzi' piuttosto che nelle
inchieste giornalistiche. Seguire il filo del discorso dell'autore non è
facile e la conclusione non c'è. Non voglio dire che un’accurata inchiesta
giornalistica sia inferiore o superiore a un romanzo, solo è mia opinione
che consideralo un romanzo sia fuorviante.
Kazuo Ishiguro - Never let me go- (Non lasciarmi)
Ormai non è più un mistero che in questo libro si parla di clonazione umana. Ma all'inizio l'autore, utilizzando la collaudata ambientazione del collegio e della formazione adolescenziale, quasi un clichè nella narrativa anglosassone (vedi più sopra 'Picnic... ), crea un' atmosfera sospesa intorno a pratiche e rituali che accennano a chissà quale mistero. Non c'è sotto granchè, se non l'idea forse neppure così originale di esseri 'prodotti' come riserva di organi e progressivamente utilizzati fino alla completa consunzione.
In realtà la problematica di questo romanzo non è tanto la clonazione umana, ma la CONDIZIONE umana. E' vero, la trama è piuttosto esile, non ci sono colpi di scena e quello che ci si aspetta debba accadere da un momento all'altro, non accade per niente. Quando finalmente Madame è costretta a confessare, piuttosto faticosamente, lo scopo del suo 'esperimento umanitario', ovvero che non c'è scopo, è proprio allora che si capisce come tutta la storia non sia che un'amara e raffinata metafora della vita. Non c'è una vera ragione, soltanto un percorso. Tutti alla ricerca di una illusoria e improbabile 'altra' possibilità, che non esiste, per nessuno. Tutti più semplicemente destinati al progressivo disfacimento, perchè è per questo che sono stati concepiti.
Dopo tutto questo discorso, forse sviante, dico alla fine che il libro mi è piaciuto moltissimo. Ho trovato la storia geniale e avvincente per il modo con cui si dipana. Molto bello, imperdibile. Grazie Kazuo
Martha Batalha - Il castello di Ipanema
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